Il bene e il male. (in cuffia : Oh Wonder – Body Gold (Louis The Child Remix)

“… e, Pino,  ne vogliamo parlare?” dice la donna con una quarta sul petto,  i Levi’s a zampa tirati fino in gola ed il sibilo di un serpente a sonagli. 

“Ma chi?! Il carrozziere?”

“Vedi tu.”

“Impossibile! Ci porto costantemente l’auto. È un bravo ragazzo… “

“Seeee. Come no.  Te lo raccomando!” dice quella dai seni enormi.  “Che poi” continua, “bravo è bravo nel lavoro, eh.  Poi, però… “

L’ altra  pare abbia un attimo di sbandamento.  Non si capacita.  Pino,  proprio lui,  il carrozziere. Quello delle auto da rifare e verniciare. Il tizio dell’angolo, tra il panificio e la sarta cinese. Tra una botta ed una fresata, una lucidata ed una spazzolata.

Quello che sul profilo whatsapp c’ha l’immagine del castello di Neuschwanstein. 

Lì, sempre pronto a salutare al mattino, pomeriggio, sera. 

Cazzo. 

Pino.

“Non posso crederci… ” dice dopo un attimo.  “Roba da matti,  gli ho chiesto proprio qualche giorno fa una stuccatura sulla fiancata.  Che la macchina era messa proprio di merda.” 

“E lui?”

“Lui, che?” 

“Non ti sei accorta di nulla?”

“No. Veramente, no… certo, ogni tanto tirava su con il naso,  ma mi è  parso così normale… ” 

“Ah, vedi?! E l’occhio? L’occhio lo hai guardato bene? ” 

“quello che si chiude e si apre come un neon?”

“Ecco, brava! E la bocca? “

“si. Bhe. Muove un po’ le labbra in diagonale. Si strofina gli zigomi in continuazione. Eppure… “

“Eppure, eppure.  Vicky, dai, su! ” 

“Eh?”

“No, dico. Il sangue che gli cola dal naso, lo hai visto?  Quello tira.  Si fa di acidi.  Non hai notato che gli occhi sono a sbalzo?” 

“A sbalzo?”

“E la cicatrice? Quella cicatrice che sembra il taglio di una katana?”

“A dire il vero… “

“Anfetamine, barbiturici,  la colla… spray per moquette, diluenti per tappezzeria. La sa lunga il tipo, dai, su.” 

“Ma, scusa, non sarà mica per l’incidente?”

Il subdolo rettile dal capezzolo di metallo,  folgorato da una nuova informazione, arresta a mezz’aria la lingua biforcuta. Il cielo sopra la sua testa, l’eden di sempre, si condensa improvvisamente. 

 “L’incidente?” chiede.  “Quale incidente?”. Non capisce.  

“Ha fatto un brutto scontro con la moto.” risponde l’altra. “Gli hanno ricostruito la faccia alle Molinette.”

“No.  Dai.  Davvero?” 

“Si.  Qualche mese fa. Magari i segni sul viso,  l’occhio a sbalzo,  il naso… “

Il serpente strisciante, creatura infida,   con la mela ancora tra le mani,  si guarda intorno. Non sia mai l’avessero sentita sul vagone. Toglie gli occhiali da vista,  li pulisce distrattamente con una pezzetta anonima. 

“Incredibile” sussurra dopo aver sparato gratuitamente mezzo chilo di merda su Pino. “È una vergogna! sssssssss…” continua “…sssss… pensare a quanta malignità …ssssss…  c’è al mondo”. Striscia.  “Guarda…. ssssssss…  che schifo.” Si allunga.  Si desquama. 

“Eh? “

” Ma si…ssssss… basta che uno c’ha la faccia un po’ strana e la gente subito ti viene a dire che si droga….sssssss….”

“Eh, bhe”

“Che io, se ci pensi, ti ho solo riferito.”

“Ah!”

“Ma manco ci credevo. Figurati .. ssssss…”

“Immaginavo.”

“Appunto.”

E rimettrendosi gli occhiali,  lascia cascare la mela che, lentamente, rammentando il bene e il male, rotola come il destino, sotto i sedili del treno per Malpensa. 

Parigi aspetta. 

Oh Wonder – Body Gold (Louis The Child Remix)

Whatsapp (in cuffia : Say – Kem)

Ti ti ti ta ti ti ta
Ti ta ti ti ti.
Ta ra ra ta ti tiriti
“Senta. Signora.”
L’uomo dalla voce profonda batte ritmicamente le palpebre. Ha la barba folta. L’incarnato cadaverico.
“Mi scusi…”
Ti ti ti tarara ti…
“Eh?”
La donna si arresta. “Cosa?” Risponde. Tiene sospesa la mano. “Che?” Ripete sussurrando.
Le dita ciondolanti tra i tasti del cellulare ed una narice.
Si volta, si guarda cauta attorno.
Nessuno.
Come Polifemo, si acquieta.
Riprende il suo telefono, che ha le fattezze di una Olivetti M40 e ritorna, umide labbra, a fare il suo sporco e duro lavoro: digitare.
Digitare sino alla morte.
Tic tic ta ta ta… tiriti ta ta
Quella bocca sempre così stirata. Siliconata. Rosso rubino.
Tarata titi ti ti ta 
“Signora. Scusi. Ma può. ..?”
Ti ti ta ta ra ra…
“Eh?”
La donna all’erta, si gira tesa e, come avesse una spada greca tra le mani, taglia di netto l’aria con l’antennone del cellulare.
É baruffa. Conflitto. Guerra.
“Può smettere? “, lui.
“Prego? Cosa?”, lei.
“No. Dico. Per favore, potrebbe smettere con quel rumore impossibile di quel… quel telefonino… Quel coso? Credo esista la funzione silenziosa, signora.”
“Ma…ma…” alla donna cresce improvvisamente il mento come fosse la barba di Polemos.  Il piglio, quello duro di Atena in terra di  Troia, tra le zampe legnose del cavallo di Ulisse.
L’uomo, non sa. Non capisce.
Infierisce.
Ferisce.
“Vede, signora” sibila “Starei leggendo la Repubblica. E sarebbe, tutto sommato, un treno silenzioso se non fosse per questo digitare continuo. Questo componimento meccanico. Questo maledetto e tedioso ti ti ti che produce gratuitamente da mezz’ora.”
“io… ma lei…alalà..  voi..io…”
“No. Perché immagino non abbia affatto sentito l’annuncio in cui si chiede di tener bassa la suoneria.”
Jane Austen dell’alta velocità, Saffo de noantri, è ormai paonazza. Tiene sospeso il cellulare, la macchina da scrivere, come fosse una pianta carnivora.
Osserva, con occhi carichi di fiele, l’uomo barbuto.
“Lei…”
“Che?”
“Lei. ..”
“Cosa?”
“Lei” balbetta “lei”. S’inceppa un tasto, una lettera. La pianta ingoia una mosca. “Lei. signore cafone e maleducato.” Strepita. “Sto mandando solo un messaggino con whatsapp!!!!!”
“Ah… bhe… allora!”
Italo, questo treno è diretto a Roma tiburtina. Si informa la gentile clientela che non è consentito fumare.
Rammentiamo che parlare ad alta voce o tenere alto il tono della suoneria del cellulare può recare disturbo agli altri viaggiatori.
Inoltre, ricordiamo che whatsapp è totalmente bandito sui nostri vagoni.
Buon viaggio con Italo.

Expo (in cuffia: Jill Scott – the fact is)

“Hai visto l’Expo?”
“Che?”
“No, dico. Hai visto l’Expo?”
“In che senso scusa? Come faccio ad averlo visto, non ho manco i biglietti.”
“Io, intendevo se hai letto la notizia. Hai sentito che è successo?”
“Cosa? Che non hanno neanche finito il padiglione italiano e ci piove dentro? Tanto dobbiamo sempre farci riconoscere.”
“No. Vabbhe! Questa è una leggenda metropolitana; che c’entra?! Parlavo dello stand della Cina.”
“L’hanno terminato, no?”
“Terminato? La guardia di finanza, ieri, ha trovato sotto il nostro padiglione un secondo spazio in cui i cinesi hanno allestito il Textile Food Expo China Italy.”
“Eh?”
“Massì. Fabbricano finte borse di Prada e di Gucci che smerciano ad una cacata.”
“Se. Vabbhe.”
“Ma non leggi i giornali? È l’Expo nell’Expo. Le realizzano e te le vendono  infilandoci all’interno panini con mortadella nostrana. Roba emiliana pura.”
“No. Dai.”
“E si. Sono geniali. Lo fanno per ogni regione. La Calabria con l’anduja.  La campania, la bufala. La Puglia, le cime di rape. È il concetto del tessile che ingloba il cibo. Una metafora, capisci? La Cina che tiene in pancia l’Italia ed il resto del mondo: Borsa-Cina-Contenitore. Panino-Italia-Contenuta. È la filosofia del più grande che mangia il più piccolo. La replica del dinosauro nel mesozoico. L’impero Ming che riemerge.”
“ah”
“eh, si.”
“sinceramente…”
“Mmmh.”
“Bhe…”
“Cosa?”
“Non ho capito questa storia della metafora. Il mesozoico.”
Ed è in quell’attimo che, tra i due, casca un’ombra.
Lunga. Stirata.
L’uomo della notizia osserva l’altro come fosse un idiota appena sceso dal portapacchi. Poi, improvvisamente, scoppia in una risata.
“Maddai. È uno scherzo! Non è vero. È una stupidaggine.”
Quello, l’idiota, tira un sospiro di sollievo. “Ah. Vedi? Per un attimo ci avevo pure creduto.”
“MassúGGianni. Come può essere reale? Ti prendevo in giro.”
Ed ecco, per l’appunto, il beota capisce. Ci arriva. Annuisce.
Con uno scatto, replica.
“In effetti”  risponde pensieroso “pane e mortadella emiliana non sta in piedi. L’anduja calabrese, poi. Figurati se lì sotto gli concedono le licenze, con tutto il cibo che hanno messo lassù nell’expo…troppi controlli.”
“Gianni…”
“Eh?”
“Ti sto dicendo che non è vero. È una cazzata.”
“Si. Si. Ho capito. E chi ci crede alla storia dei panini? Certo, questa cosa delle borse, però, é proprio vergognosa.”
“Gianni…”
“Che già lo so. Ci infileranno dentro giocattoli  al cadmio e riso alla cantonese. Pensa l’odore. Che schifo. Che cafonata.”
“Io… ti sto dicendo che la notizia…”
Ma l’altro, ormai, ha imboccato la strada del non ritorno.
Troppo tardi.
Esplode.
“E questo, questo grazie ai politici corrotti. Ci facciamo colonizzare in casa nostra, ci facciamo.”
Prossima fermata, fiera expo milano 2015.
Il treno viaggia con un ritardo di 18 minuti per un guasto all’impianto della stazione di Melzo. Ci scusiamo per il ritardo.
Trenord your way to expo!
Un sospiro. Pare rassegnarsi. Infila lo sguardo tra gli alberi che scorrono all’esterno. Segue con la pupilla un padiglione a forma di trullo.
Annuisce, stanco.
“Ma io all’Expo mica ci vado! E secondo te compro i biglietti? Figurati. Per regalare i soldi a stemmerde!”

Dovessi. Potessi (in cuffia : AM2PM – my feelin’ – unique2rhythm remix)

Corrono. Entrano. Trafelati si siedono.
“Questo” (affanno) “deve essere” (affanno) “il diretto.”
“Forse” (dispnea) “il Treviglio?”
“Vabbhé, chiminchiasenefotte. Sono le sette. È presto.” (Respiro lungo di sosta) “Andiamo al Duomo e facciamo colazione lì.”
“No.”
L’occhio iniettato di sangue, insiste come la pioggia.
“Dai non fare il barbone facciamo a tempo.”
“No, è uno sbatti!”
“Sei il solito barbone.”
“Non è per i soldi”
“Sevvabbhé” sbuffa, si gratta insistentemente la faccia. “E per cosa è? Dì. Per cosa?”
“Oh. Tipo! Mica sei mia madre.”
“See. Che se lo sarei stato, vedi”
Se lo Sarei
Tutto il treno si gira. Si flette. Inginocchiato, sussurra.
Se fossi. Se fossi. Se fossi. Se fossi.
Dieci. Cento. Mille teste.
Se fossi. Lo sanno anche i vetri.
“Che se lo saresti stato, cosa? Eh? Cosa?”
Merda! In due è troppo difficile. Insormontabile.
“Vabbhéminchia. Con te non si può parlare.”
Già. Appunto.
Con nessuno dei due si dovrebbe.
O si dovesse?

AM2PM – my feelin’ (unique2rhythm remix)

L’olistica di Savien (in cuffia : jill scott – cross my mind)

“Stanotte non è stata bene perché non ha digerito.”
“Ancora?” 
“Va’, non ti dico. Le ho alzato pure le gambe, un lamento continuo. Che poi, senti, le ho dato la pasta in bianco, le mezze penne, mica qualcosa di freddo; davvero, non so…”
“La pasta? lemezzepenne??”
Risponde l’altra, gli occhiali di un’altra epoca, il naso diffuso di Cyrano de Bergerac; muove le mani come nel Grand Guignol. “Maccheglidai? Non c’entra mica”, dice secca, tutta fili, orrore e teatrino.
“Ah no?” Lo stupore rapisce il volto della donna fiacca, forse stanca di essere badante di sua madre nella vita. “Non c’entra?…”
“Maccertocchennò!”
L’esclamazione di Cyrano è ovvia, imponente, categorica. Pare provenga dalla propaggine sulla faccia. 
“Il tuo corpo va in panne per cercare il calore. E se cerca calore, tu, che gli vuoi dire?”
Oh, Diable.
Diable d’un Bergerac!
Laurea alle spalle, accento pugliese, inflessione galloromanza, ore ed ore di lavoro in medici senza frontiere, incede nella  gesticolazione appassionata.
“Ovviamente era una domanda retorica” continua, “che gli vorrai dire ad un corpo dolorante, intendevo.”
“Ah.”
L’altra pare in soggezione, un po’ schiacciata sul sedile blu cobalto trenord, attendendo, però, una qualche risposta scientifica che superi la retorica. Qualcosa che abbia valenza chimica o, che so, logica, fisica, teatrale. 
Annuisce, un po’ beota, un po’ minus, un po’ habens: “…che gli vuoi dire?” chiede sussurrando timidamente, vittima degli eventi.
“Ehcchéglidicicaralamiaamica! Macchéglivorraimaidire. Gli dici che il cibo è un brutto affare. La pasta, il glutine. Stecosequi. Pane e panelle. Maddai é ovvio che é sbagliato!  Basterebbe considerare l’approccio multidisciplinare ed usare i semplici miracoli dell’ olistica.”
“Bhe…si… se é multidisciplinare…”
“Siccerto. Ma poi è inutile. Che c’è una mancanza di sapere in questo cazzo di paese, che se parli di olistica al tuo medico quello ride e  riempie tua madre di medicine. Con i soldi che prende dalle farmacie, poi.”
“Ecco… veramente…”
“Appunto. Carboidrati ci vogliono. Bastano quelli!”
“E la pasta che le ho dato, le mezzepenne, non è un carboidrato?”
Il luminare, allora, perde il sorriso; ci pensa su. 
Guarda improvvisamente il tetto del suburbano facendo prima correre gli occhi sul dorso del naso.
Scuote la testa poi, impermalita, si volta a fissare per un attimo un bambino che rompe i coglioni da mezz’ora con il suo videogioco ad alto volume. 
“Ma si, certo” risponde Cyrano bruscamente “anche se i farinacei” farfuglia “…facei… tassi… massi…”
“Eh?” L’altra, minus habens, pare confusa. Non capisce la lingua.
Cerca di avvicinare un orecchio. Poi l’altro. “Non ho…”
Ma il blasonato, il dotto luminare, non l’ascolta più. 
Quella, è Savinien de Cyrano de Bergerac, mica un passeggero qualsiasi! Snobba la questione che rimarrà, d’ora in poi, dei poveri guasconi badanti. 
Si appassiona ad altro.
Sguaina la spada, digrigna i denti.
“Eccheschifo. Ma la madre di ‘sto microcefalo come l’ha educato?”
“Bhe… in effetti…”
“Quelle sono le merendine. Gli additivi, i coloranti. Vedi la mamma come gli sta mandando in pappa il cervello a sto piccolo stronzetto tartaruga ninja”
Questo treno è diretto a: Varese. Prossima fermata… Canegrate.
“Poi piangono!”

Chi sputtana chi (in cuffia: Love it – Brandi D.)

“Se la guardi così è stata pure una serata carina. C’era un figo biondo con un culo pazzesco che ha fatto lo spogliarello. Anche se poi, alla fine, la cretina si è rotta il piede…”
“Hxhynbgjlk hjkkl..crrr…crrr…”
“Eh? Non ho capito.”
“Hxhynbgjlk hjkkl hgfhh”
“Ah. Perché stava ballando, l’oca. Cantava, beveva, cozza come al solito, è caduta. Si è spaccata il metatarso. Adesso è tutta ingessata.”
“Jkgjj kkjhh hggjjg” 
“Massì, finisce che toglie il gesso un giorno prima del matrimonio, che il medico le ha detto che dovrà mettere i sandali, che se mette i tacchi compromette tutto. Te la vedi? Già era una tamarra di suo. Adesso coi sandali quando si sposa, chefiguradimerda. Sai la Mary che ha detto? che l’ha vista andare dalla sarta per farsi accorciare il vestito che se no, che fa? una scarpa ed una ciabatta? Ridicola, guarda. Ridicola.”
“Hjkfgh kkkll?”
“Allora non lo sai.”
Si volta verso l’amica di fianco. Come Peter Falk in Colombo, copre con una mano il telefono “non lo saaa!” le sussurra lungamente in un orecchio. “Non sa del tizio”. L’occhio un po’ chiuso, l’altro aperto. Riprende la conversazione all’apparecchio, con un sorriso niveo e smaltato. Una cicatrice sulla faccia.
“Indovina un po’ chi l’ha accompagnata la sera in ospedale?”
“Hndgthvk…”
“Noo. Tipregoindovinadai.” 
“Hjdyuk?”
“Ma va! L’ha portata in auto il figo dello spogliarello. Quello biondo con il culo fantastico che ballava tipo cobra.”
“Hklyujjj jkllk….”
“Credici. Tipregocredici! Si sono pure scambiati i numeri, ed adesso si scrivono su whatsapp e sullemmail. Chissà Gianni, povero. Prima del matrimonio. D’altronde, non è che puoi dire di no. Sempre stata un po’ zoccoletta Silvia, dai.”
“Bklhf klhhjk?”
“Ti dirò, io manco ci volevo andare, però devo, sennò succede un casino con mia cognata che ci va in palestra da sempre. Comunque metterò la borsa argento e le scarpe argento. Anche se poi non stanno niente bene con le gambe color latte scaduto. Devo fare una lampada urgente. ”
“& & &…bzz…crrr..”
“Non ho capito. Eh? Pronto? ”
“Vbgjkjh jkjggg..”
“Dicevo, non stanno bene con le gambe bianche che sembrano latte di soja. Vedi tu. Con la borsa di argento.”
“Gjkkuik hkk… zzzz…crrr”
“No, no! Soja! Ho detto gambe di soja. Pronto?”
“Jkkjgg bz..crrrr…. crrrrr…”
“Pronto? Pronto?”
Stazione di… Milano Lancetti. Prossima fermata  Porta Garibaldi.
“Caduta la linea?”
“Sì. Che palle. Questa ha capito troia ed io dicevo soja”
“Eh va bhe, dai. Tanto, con la borsa d’argento…”
Il ghigno di un untore, a Milano, tra Renzo, Lucia, capponi, don Abbondio e Bravi, avrebbe sortito meno effetto.
L’altra ci pensa. Osserva l’amica, l’untore, l’angelo del male con la peste in bottiglia.
Guarda poi il telefono con cui dialogava, come lo vedesse apparire per la prima volta, caduto forse da una galassia lontana. La bocca socchiusa e stupita.
Kriptonite? Ma questa è kriptonite? Cielo… kriptonite.
Fa no con la testa. “Vabbhe che c’entra.” Risponde seccata. “Pure l’immagine che uno si fa, dai. Che quella è una stronza che sputtana tutti da Arona a Domodossola. Che nervoso ‘sto treno di merda che non c’e mai linea quando devi dire una cosa importante.”

Che in Italia (in cuffia: Doves – Firesuite)

“Penso che qualche volta ci faranno provare” dice tirando su il naso. “Ieri l’ho cantata alla lezione con Alex”
“Sempre Alicia Keys?” 
“Sì. Non mi ricordo mai il titolo.”
“Un classico. Come è andata?”
“Che mi ero messa d’accordo con le altre ed abbiamo rischiato di steccare. Soprattutto nel ritornello quando arriva al bridge.”
Gorgheggia un motivetto in un vagone pieno di gente che si volta più per curiosità  che per la voce.
L’altra, un palo di rame, annuisce. “Ah sì. Capita anche alle mie amiche di steccare. Oggi canti ancora?”
“No. Devo studiare per un esame. Anche se certe volte ho paura di aver fatto la scelta sbagliata.”
“E perché ?” chiede la pertica di malachite sporgendosi pericolosamente in avanti. La voce sciropposa e melliflua.
“Per gli esami. Per gli sbocchi. Mah… non so.”
“Per cosi poco? Mavvadaisù. Se ti puo consolare il mio amico ha scelto cinese e giapponese come me. Cinese 1 è passato, giapponese 2 non è passato ed allora ha fatto spagnolo. Ma si è già stufato ed adesso vuol far russo. Magari poi si iscrive ad architettura. Faitéchetipo.”
“Incredibile.”
“Proprio. Ma io son diversa. Se decido di fare una cosa la faccio. Chessóquellochevoglio. E, senti, non mi ricordo, tu cos’ è che fai?”
Si guardano. L’una con l’occhio dentro l’occhio dell’altra.
Una delle iridi tentenna. La pupilla scivola un istante e si ricompone. È un attimo
“Io faccio il DAMS.”
“Ah bello. Cinema, arte…” risponde un po schifata stangadirame. “Una mia amica ha fatto il DAMS. Adesso è a Helsinki”
“Fantastico!”
“Eccertocheèfantastico. Un po’ancheculosevuoi, dai. In Europa. Altro che Italia. Con ‘sti politici di merda. E tu dov’è che vorresti andare? Non qui, spero.”
“A dire il vero non lo so.”
In quella risposta provvisoria le trema un po la voce. 
L’altra, la stanga ramata, è decisamente una donna più sicura. Capelli rossi. Vaporosi. Testa scaltra.
“Inghilterra?” chiede.
“Nooo, Inghilterra no.”
“Perché?”
L’introversa titubante ci pensa. Striscia il dorso della mano sul naso, che la rinite, guarda, che palle! “Non mi scompiffera, non lo so perché.”
La pertica annuisce, pare comprendere i segreti del mondo e, perché no, di quella sinusite stagionale improvvisa.
“Ed allora scartiamo Inghilterra ma anche Francia. Che la Francia, a parte la cultura…”  
“Sì, sì. Via Inghilterra e Francia” risponde in un sorriso imbronciato l’altra.
Ma stangadirame non ha terminato. Volesse il cielo.
“Bisogna andare nel nord Europa” dice.
“Beh”, è la replica giudiziosa quasi convinta, “Inghilterra, è nord Europa”
“Sì. Vabbhé. Ma dicevo nord nel senso nordfreddofreddo, che c’entra?”
“Aah…”
“Appunto, come la mia amica che ha fatto il DAMS.Chehaavutounculo. Magari poi ti do i contatti.”
“Quella che è andata ad Helsinki?”
“Sì. Proprio.”
“E cosa fa lì adesso?”
“La cameriera.”
“Ah.”
La pupilla cade. L’iride è ormai spenta.
Prossima fermata… Bologna centrale.
‘Embhe, che vuoi. Che in Italia avrebbe fatto la Madonnara.D’altronde, il DAMS…”

Ironia (in cuffia: Eyeline – submotion Orchestra)

“sto prendendo l’aloe, quello in bottiglia”
“Ah si? Ti da benefici?”
Ci pensa. Si guarda nel vetro che riflette una tizia con le occhiaie. La faccia stanca, i capelli vaporosi impennati sulla destra. E si cerca, in quel riflesso, tastandosi il cespo.
“Nun so.” Risponde con l’accento romano. “Ho appena iniziato.”
L’altra è storta, stravaccata come al cinema. Sulla faccia il labbro a sbalzo, prolungamento di un mento che cade verso il collo.Continua a tessere all’uncinetto muovendo le mani gonfie, ritmicamente, sulla trama di un centrino. 
Mano su. 
Mano giù.  
Mano su. 
Mano giù. 
“Che sapore ha? È dolce?”
“Mah. Non sa di nulla. Di acqua.”
Capelli vaporosi a destra, afferra qualcosa dalla borsa. Una spazzola da viaggio che usa pazientemente per aggiustare la zazzera di paglia. 
“Quello è il centro tavola della settimana scorsa?” chiede.
“Eh?”
“È il centrino che stavi facendo la scorsa settimana?”
“Na. Questo sarà il quintosesto.Figurati,  Finito da mo!”
“Ah” 
“Terminato dalla settimana scorsa. Appunto”
Pelo cotonato si riguarda nel vetro buio riflettente. Rimane un po perplessa, si sposta il ciuffo verso il centro. Ma quello scivola, immancabilmente, impuntato, piano piano, dov’era un tempo.
“E poi che fai con tutti quei centrini?”
Labbro a sbalzo, bazza e collo,  Penelope che tesse in attesa di Ulisse, continuando a trafficare con le mani, sorride in quel sorriso che, a causa del mancato mento, la fa sembrare un pupazzo di neve. E scuote la testa a sottolineare l’imbecillitá della domanda.
“Che faccio dei centrini? Li propongo. Che faccio.”
(Imbecille)
Mano su. 
Mano giù. 
“A chi?”
“Ai vicini, al lavoro. Agli amici.”
“Ah..”
“…Le cresime. Comunioni… gli amici di Giulia…”
“Capito. E ti pagano?”
E lì, Frozen, si arresta. Salta un punto alto. Perde un punto croce. Le forcelle si schiantano, scivolano. Sbuffa ed osserva finalmente pelodicotone con sguardo sardonico, con faccia ironica. Gli occhi due fessure di acciaio. Il naso, una carota.
E non puoi sbagliare. 
No!
Non puoi sbagliare davvero quando un essere umano, per conformazione,  non ha il mento. L’ironia la vedi subito.
È palpabile, evidente. Stampata ovunque. È da ciechi non vederla.
A quella domanda – e ti pagano? – frozen non può che reagire.
“Figurati. compro il materiale,  ci lavoro su duegiorni duegiorniemezzo, divento cieca e poi li regalo, perché nonhouncazzodafare”. Risponde secca.
Appunto, ironica.
Cespo a destra annuisce. Si specchia nuovamente. Chiude la borsa. 
Prossima fermata Bologna centrale.
Mette una cicca in bocca. Tocca il ciuffo. “Brutta cosa quando sei troppo buona” risponde. “Io pure uneuro uneuroemezzo li avrei venduti. Che poi, ‘a gente mancoapprezza!”

Ah. L’amour (in cuffia : isn’t she lovely – Stevie Wonder)

Lui si volta indietro per un secondo, poi di nuovo parla alla ragazza che ha di fronte. 
“Amore, secondo te è cinese?”
“Ma va’” risponde lei. “Guardagli gli occhi.”
“Appunto. Li ho visti. Sono cinesi.”
La ragazza scuote la testa ed osserva il giovane con l’apparecchio in bocca come avesse a che fare con un povero beota con l’apparecchio in bocca.”Perché sei cretino?”
“Dai. Solo simpatico. Con te.”
“Sentilo, da morirci. Comunque è giapponese, si vede. Di qualche isola asiatica tipo Hiroshima o giù di lì. Non vedi che ha la macchina fotografica? Una Nikon. Figurati.”
Lui annuisce. È, però, ancora perplesso.
“Perché i cinesi non hanno la…?!”
“Ma va’. Quelli sono telefonino e wechat. Anche se poi hanno la stessa faccia, più o meno.”
“Dai, abbassa la voce, che t’ha sentita.” 
“Ma chi?”
“Ti ha guardata. Fidati. Quello lì,  il cinese, ti ha sentita. Guardaguardaguarda ti sta guardando. Chefiguradimerda!”
Alcuni passeggeri si voltano. La osservano. Mollano le proprie letture.
Ed è in quel preciso momento che lei si innervosisce.
Serra le labbra. Si muove sulla seduta. Abbassa la voce che diviene cigolante. Metallica. 
Gli occhi ridotti in fessure, come in Shining. Pertugi del male. Crepe dell’inferno. 
“Oh. Siamo in un treno.” Raschia petulante la pupilla perniciosa. “Se non gli sta bene scenda pure questo qui! Mi guarda… Cos’è? non posso parlare? Già ci hanno invaso con gli involtini, le lore cazzate cinesi copiate e io devo abbassare la voce? A casa mia?”
Prossima fermata Vanzago. Questo treno è diretto a… Treviglio
.In quel frammento, apparecchio beota si piega infallibilmente in avanti. 
Purtroppo, sorride. Con quel ghigno di acciaio. Mai pago.
Il piglio è un lieve sussurro nel suburbano claustrale.
“Ma  non hai appena detto che è giapponese, e guardagliocchi guardalaNikon guardawechat?”
Il danno è fatto.
Merda.
La giovane donna si morde le labbra. Le si appanna lo sguardo. Scruta l’uomo asiatico, poi fissa alcuni vicini che, evidentemente (è lapalissiano) ridono di lei. 
Osserva nuovamente il beota con l’affare di latta in bocca che chiama amore. Buongiorno amore. Per tutta la vita amore.
Qualche secondo per assimilare. Apre la sua rivista, accavalla le gambe. Prende un lungo respiro.
“Sei arrabbiata amore?Scherzavo.”
La donna esplode.
“Oh, senti. Se questa mattina ti sei svegliato per rompermi le palle vedi di telare. E vedi di non sputarmi in faccia quando parli. Che mi hai lavata. Sto deficiente, sto’.”

Ah, l’amour! Isn’t she lovely

In piedi ( in cuffia: conya doss – smile again)

La ruminante macina la cicca a bocca aperta, si accomoda di fianco alla tizia con la borsa fasulla di Prada.
L’altra, zoppicante, con il tacco 12, resta in piedi “no no, sedetevi pure” – tanto io ho solo la caviglia che cede come la torre di Pisa.
La ruminante si disfa del cappotto e si mette a suo agio. Apre e chiude ritmicamente la bocca spostando, di tanto in tanto, in diagonale la mascella. Produce un suono sgraziato. Un gnagna asimmetrico.
“Gnagnagna”.
Mastica.
“Oggi girano tutti – gnagna – fanno sciopero solo in Bovisa e quelle linee lì – gnagna.”
“sei certa?” Risponde traballante ed esitante tacco 12 “per me, oggi, sono tutti soppressi.”
Ma la ruminante è proprio irremovibile; figuriamoci, con quella mascella sicura e determinata.
“Nonono – gnagna –  l’s5 è fuori. L’ho sentito ieri – gnagna.”
Tacco 12 si muove sul posto saltellando da una scarpa all’altra, come avesse calli che le spuntano all’improvviso tra i piedi.
“Speriamo. Oggi non posso pensare di aspettare treni. Sono scivolata davanti casa.”
“Male?”
“Fai te” indica con una mano la caviglia. “Un disastro. La strada. Le buche. ”
“Meno male che non abitiamo distanti tipo Domodossola.”
“Una linea del cazzo.”
“Eh, però – gnagna – sempre pieno gnagna”.
Borsa di Prada annuisce cercando, in quel sacco di moda taroccato, del burro cacao. Lo afferra, lo svita, lo spalma, poi parla.
“E pensare che prima c’era un treno bellissimo che si fermava a Parabiago. Arrivava preciso preciso. Poi basta. Chissà perché l’hanno tolto.”
“Vero – gnagna – così comodo. ”
Tacco 12 è alle cozze. Fatemi sedere, deficienti oche giulive.
Ha lo sguardo che urla pietà; amiche, pietà. Un sedile, pietà.
Con le pustole sparse ai piedi stira le labbra in una smorfia di dolore. È evidente. Soffre. Lentamente muore, come la sua bile. Come Neruda. 
Si dimena ormai in un triste ballo di San Vito.
Mira alle bestie con un’ unica preghiera scolpita in petto: un sedile!
La ruminante, però, non ci sente e non ci vede.
“E ti ricordi – gnagna – i treni con i sedili in legno?”
Coinvolge borsa tarocco. Il dialogo è tra loro: donne sane, sedute, prive di calli. Nessuno strazio, alcuna dolenza.
“E quello con le porte che si aprivano a libro?”
“Che treni – gnagna”
“Meno male che viaggiamo su questi. Già, se vuoi, l’odore è tutta un’altra cosa”.
“Va bhe altri tempi – gnagna”
“Altra età.”
“Ma perché – gnagna – questo adesso è fermo da 30 minuti e non dicono nulla?”
“E che ne so. ”
Borsa di prada si gira. Guarda oltre il finestrino. Tiene il burro cacao fermo sulle labbra.  Stropiccia distrattamente la bocca semichiusa da idiota. Poi, si accorge all’improvviso dell’ amica al collasso, con i calli ovunque.
La osserva. Cerca con gli occhi la caviglia. Annuisce. Pare rinsavita.
Ma dura una frazione di secondo, e quando si rende conto che forse non appartiene alle sue cerchie di google, ritorna al finestrino ed alla sua fermata. Comodamente seduta con masticaduro.
Certosa…
“Treni vergognosi guarda. Con tutta sta gente in piedi.”

Brutta giornata (in cuffia: dans mon île. Henri Salvador)

– Ma che cosa chiami il nonno?!?
L’Occhio del tizio si danna e si affanna  impulsivamente. Obliquo.
– Il nonno non sa neanche che cosa tirare fuori, il nonno. Non sono su quella linea i cavi! Adesso mi aspettate, io vengo lì diretto con Francesca e vediamo. Nonno devi lasciarlo stare.  Dai. Si, si. Va bene. Ciao.
Click.
– Il nonno. Figurati.
Percuote con la mano la coscia, ad autoflagellarsi. L’iphone è lanciato istericamente nella borsa in pelle.
– Cosa è successo?
– Eh, cosa è successo. Che le cose vanno fatte con la testa!
Improvvisamente il piede stressato si impunta ritmicamente sul pavimento.
Tac tac tac tac tac
– Batteria scarica?
Piede stressato lo guarda come se avesse fatto la domanda più idiota del mondo.
– Scarica… si ma me l’hanno scaricata loro. Quei cretini.
Tac tac tac tac
– e adesso?
– Adesso Francesca ha chiamato Andrea che chiama casa e vediamo. Hanno lasciato il ventilatore acceso, la batteria accesa, le luci accese. Tutto acceso. Il cervello no. Quello è spento!
– Succede
– See. Cresci una famiglia e questo è il risultato.
Si informano i gentili viaggiatori che questo treno viaggia con un ritardo di 25 minuti. Trenord si scusa per il disagio.
– Vedi? tu che ti lamenti.  C’è di peggio…
– Mavvaffanculo va!
Tac tac tac tac.

I benpensanti (in cuffia: evgeni’s waltz – Abel Korzeniowski)

 Si siede. Non sorride. 
Borsa gialla piena di verdure. La deposita ai suoi piedi Timidamente.
Gli occhi chiusi ed una sorta di smorfia dipinta tra naso e mento.Sembra stanchezza. Magari, solo i piedi doloranti.
Non si accorge dell’uomo con il cappello e la divisa, in piedi di fianco a lui.
– Biglietti.
E sembra non accorgersi neanche della lingua che sta parlando.
– Signore. Biglietti per favore.
E quello, allora, si alza. Si limita a non rispondere. Mostra la sua busta di verdure. La indica. 
In fondo, a parte la giacca ed una sciarpa blu, è l’unica cosa che ha con sè sul treno. 
– Cos’è, signore, fa finta di non capire? Le ho chiesto il biglietto, per favore.
E lui si gira. Sorride in una bocca larga e cariata. Annuisce agli altri passeggeri, al signore con il cappello e l’obliteratrice portatile.
– Dov’è che deve andare?
Ma è muto. E rimarrà tale fino al piano inferiore, accompagnato dall’uomo in divisa.
– Vengono a fare i signori nel nostro Paese.
– Che schifo.
Stazione di Rho. Questo treno è diretto a… Varese.
– Scenda, per favore. Mi spiace, ma qui non si può stare senza titolo di viaggio. Lì vendono i biglietti. Vada, signore. Vada.
E quello rimane con quel sorriso. Il volto rosso. Dietro le porte chiuse. Dietro i vetri. Dietro il treno.
Cariato. Umido.
Con la borsa gialla in una mano, un saluto gentile ed inutile nell’altra.
– E saluta pure, sto cretino. Che vergogna.
– Fanno i furbi, fanno. Vanno all’ortomercato e salgono gratis.
– Devi vederli quando c’hanno le rose. Che come cazzo le comprano?
– Eh, sì. Con i nostri soldi. Poi le tasse le paghiamo noi. Che a me è arrivata pure la Rai.
– Perché, l’hai pagata?
– Figurati. Mo’ regalo pure i soldi allo Stato.
Prossima fermata… Parabiago. 

Hannibal (in cuffia: Teedra Moses – be your girl)

– Siamo a Garibaldi? 
– Sì. Credo proprio di sì.
 Capelli pettinati con una mannaia cerca di guardare oltre il vetro allungando il collo. Gli occhi stretti stretti dietro le lenti bombate.
– Non si vede nulla fuori con queste scritte di merda. 
– E non mettono ancora le telecamere.
– Che palle, guarda… che palle…
L’amica comincia a grattarsi una mano. Raspa come Hannibal Lecter che gioca con la pelle degli innocenti.
– cosa?
– che arrivo al lavoro e quella stronza della segretaria ha le chiavi del caffè.  Mo’ devo prenderlo al bar.
– Perché?  – Chiede capello mannaiato.
Hannibal smette di grattarsi
– Perché  rubavano le cialde per non pagare 50 centesimi.
– iiiiih. Che barboni.
– Eh, ma io so chi è…
– Chi?
– Eh. So io lo so. Ma non lo dico.
– perché?
– Non posso. 
Mannaia in testa avvicina il faccione con gli occhiali.
– Scusa, lascia un biglietto anonimo, no?
Hannibal la guarda. È contrariata.  Riprende a raspare.
– Figurati, cosi capiscono che sono stata io a metterlo e vanno a sputtanarmi dicendo che le cialde le ho utilizzate pure io.
– Eh? Rubi le cialde anche tu?
– Eccerto. Che mica son più fessa delle altre. 
La pelle è viola. Tende al rosso cardinale.
– Lo fanno tutti in quell’ufficio di merda.

Vacanze (in cuffia: Oxmo Puccino – toucher l’horizon)

– …Belle vacanze, però, in questo momento della vita voglio stare da sola. Ho sofferto troppo.
– È chiaro.
– L’anno scorso ero andata con la macchina a Campo Marino. Eravamo noi quattro piu altri 5, però non eravamo solo noi quattro.
– No?
– No. Infatti.
– Ah..
– Eravamo tipo cinqueosei.
– Certo.
– I miei figli erano contenti che c’erano i cugini. La Chiara non ti dico! Forse quest’ anno ci sono le condizioni ideali per fare queste vacanze… siamo ancora, però, a febbraio.  Vedremo…
Italo vi da il benvenuto sul treno Milano-Roma. Il treno fermerà nelle stazioni di Bologna centrale . Firenze Santa Maria Novella. Roma tiburtina.  Roma ostiense.
– Tu fai come la figlia di una amica, la Laura, che al mare il padre aveva preso una barca e questa si è infatuata dello skipper di 50 anni. Uno con il tatuaggio e la bandana.
– Eh…
– Hai presente abbronzato, cicatrice sul braccio e faccia del pirata dei caraibi?
– Si conosco il genere.
– Tipo Dickens, il vecchio e il mare
– Hemingway…
– Si. Appunto. Un tipo cosi. Che poi, il bello è che lei voleva tornare giù a vivere con lui, con il dannato. E che gli vuoi dire?
– Pazzesco..
– “Consigliali il panettiere che c’e li sotto casa” gli ho detto al suo padre.
– Pover’uomo. Chissà che sofferenza.
– Si, una cosi brava persona, guarda.
– Ma lei è fidanzata?
– Ma va, ‘na zoccola.

Chimica (due ragazze allo sbando)

– E cos’altro ha spiegato?
– Nulla. Quello che leggi. Non c’era una mazza da dire alla fine. L’energia che spinge i protoni fuori poi questi vogliono tornare dentro e… Niente. Queste cose qui.
– L’energia protonica…
– Sì, ma niente di che.
Apre il libro. Punta il dito. Chiude il libro.
– Io spero che la Fede si limiti perché veramente sa troppe cose. L’altra  volta io e Roberto stavamo ripassando poi è arrivata lei e si è messa a dire un sacco di cose ed io non ho capito piu nulla.
– Ma perché lei è precisa.
– Si, però… Che poi, la Fede l’ha pure detto, perché lei si mette a cercare le cose su internet, se no non capisce. Ma questa è pazza. Ma fai le cose che ti dicono di fare
– Qui come è la formula?  Il gruppo acetile si unice  al coenzima o quello se ne va?
– Mah…
– com’è?  piruvato decarbassi…dercabosdillosi?
– derca…forse bossilosi…
Apre il libro. Gira una pagina. Dito sul naso e sguardo ottuso.
– ma che ne so…
– È l’esempio della foglia che ha spiegato, mi pare…
– Ah sì. Quello. Se l’aria è ferma sulla foglia l’acqua fa fatica ad uscire. Solo questo so dell’ultima parte. Una cazzata.
– Non ho capito una mazza.
– Ma sì… sinplastica apoplastica. L’ho scritto qui… da qualche parte. Mo’ non lo trovo… Comunque, niente di che… l’accumulo… ma sì, apoplastica… accumulo…
– Ah…
Sfoglia il libro. Chiude il libro.
– Quella stronza della Fede! Speriamo che non venga a farci fare una figura di merda.
– Che palle!
– Si, davvero.

La guardia

La guardia giurata con scudetto sul petto e divisa petrolio è seduto nella corsia centrale. Quella che quando qualcuno deve sedersi bisogna per forza alzarsi. Scusi dovrei… si si mi alzo. Che palle.
L’amico, è seduto di fronte. Anche lui guardia giurata ma con uniforme brunastra.
È più piccolo, la testa incassata nelle spalle.
Scudetto sul petto, invece, è enorme. Il mento di Gambadilegno. Occupa tronfio il sedile, ha l’accento pugliese spiccato. La voce maledettamente alta.
– Eccié. Mi stav’ a ferma’ l’altra volt’ (mi stavo fermando l’altra volta).
– Peccato. Fanno i panini piatti a 3 euro e 20. 
– Piatti? 
– Si. Schiacciati.
Brunastro simula con la mano un tostapane. Su e giù. Su e giù.
Prossima fermata… Vanzago
– Se mangio là, prendo sempre un panino che se no poi alle due dormo. Ma Sai quanta gente della banca?
– E’, u’saccie (E, lo so).
Pugliese stretto agita le mani. Gesticola pericolosamente. 
– Chidd, so amici amici amici. U’ ssa quant’ volte ci andavo io a prend’ il caffè ed era cosi chien’ che manc’ la confidenz’ ricevev’.  Che quella è gente seria! ( quelli sono amici di amici. Sai quante volte andavo lì a prendere il caffè ed era così pieno che non mi davano neanche retta!)
– E hanno pure una figlia, mi pare, e ci sta pure la sorella nel locale.
– Essì. Hann’ affittat’ na russa che anche con lei ho preso confidenza ho preso. Ohu! Ma tu u’ ssa  che il bar  apriva alle 5 anche di domenica?  Quello s’è fatt’ i tirris’. Le pa-pa-gne (Quello ha fatto soldi). Che già nell’ottantadue ottantatré  io li mi fermav’ a prendere il caffè.
– Ah…
– Ouh!  D’estate mi faceva il caffè cremoso. 
– Eh…
– Pins nu picc (pensa un po’), c’ho portato la mia capa ci ho portato. E gli dico: ti fidi per un caffè?
La mano enorme di taglio sulla bocca tipo megafono
– Ohu! Da Pe-schi-era!! 
– Pazzesco…
– Poi pure all’altra capa, ohu!  Senti a me. Vuoi un caffè, eh? E la portavo.
– Ma la tua capa quella delle Poste? 
– Caci’! (????) Che quann’ lavoravo ci andavo. E quann’ se no?
– Ah.
– Ohu. Presente, d’estate?
– Eh…
– Me’, nu casin’! Che mo, co stu cazz d’lavor!

Là vicino

– …Ma secondo me, no! Lui deve scendere a Garibaldi e prendere la metro.
– Ah.
– E va a Cadorna.
– Ah. E sì…
– E poi scende in via Carducci per la 50 verso Lorenteggio.
– Sì sì. Capito.
– Via Foppa e sempre dritto. Altrimenti deve scendere a Lancetti.
– Vero.
– E deve prendere la 702 per Lotto. Lotto, mi raccomando.
– Allora mo’ lo chiamo.
– Chiamalo, diglielo. Hai capito?
– Sì. Sì. Mo’ lo dico.
– Bravo!
– Pronto? Ohu. Mi senti? 
Prossima fermata Parabiago. Questo treno è diretto a… Treviglio.
– Mi senti? Sto cazz di telefono. Allor senti a me. Non fare quello che ti ho detto stamattina. Tu scendi Garibaldi prendi metro verde e prendi e vai a Cadorna… eh? Pronto? Sì… senti a me, sentimi. Scendi a Carducci e prendi la 50 che va a Lorenteggio via Foppa, hai capito? Pronto?
– Se no, Lancetti (l’altro di fronte, sottovoce ma non troppo) digli la 702!
– Altrimenti Lancetti. La 702 e vai a Lotto hai capito?… pronto? Sì. Lotto. Va bhe… bravo…  ciao!
– Gliel’ho detto!
– Te l’ho detto, fa prima.
– Eh si. In effetti se scende a Lancetti è meglio.
– Perché se tu vai lì poi prendi Carducci, Bolivar e arrivi.
– Eh sì. Eh sì. 
– Perche Lorenteggio è molto lunga.
– Sai cos’è? non mi ricordavo perché non li prendo mai i mezzi di superficie. Perché ieri sera me lo ha chiesto e gli ho detto della metropolitana. 
– Basta fare il capolinea Cairoli e poi va a Corsico e fa la Lorenteggio. Bolivar e poi la 50. 
– Mmmh…
– Sai dov’è? Vicino all’Esselunga.
– Eh…
– Sai dove è l’Esselunga?
– Eh… sì. Vicino. Là vicino.
– Bravo!

Il pranzo

– Quel genio di mio marito si fa sempre infinocchiare da suo fratello. Niente! Ha deciso di uscire a Cassano Magnago perché glielo ha detto lui e lui è uscito! Punto. Un buio pesto e siamo usciti in un paesino… Crubono, Crugnono di magnago, Crugnanodicomecaspitasichiama.
– Mai sentito
– Ma che ne so. Una rabbia.
– E cosa avete mangiato?
– Da scoppiare! Risotto rosso con la fonduta. Trofie con Pomodorini e speck. Poi il  pesce e poi il sorbetto e poi l’arrosto con le rosette di carciofi.
– Leggero…(ironica)
– Macche’ .  Anche la torta. (Come far smarrire per sempre una figura retorica). Avrei voluto far inserire pasta allo scoglio ma da noi c’è tanta gente che il pesce non lo mangia.
– Ma intendi spaghetti?
– Eh?
– Spaghetti allo scoglio?
– Si. Bhe. Quella cosa li.
– Ah…
– E sai quanto abbiamo pagato?
– Bhe…non so …
– 105 euro tutto compreso!!
– Per tutti?
– No. A persona.  C’han fatto un prezzo..ma Perché sono amici di amici dei nostri amici. Altrimenti…
– Vi han trattati bene…
– Eh si eh. Serve conoscere.

Parrucchieri

– …Non le avrei dato 5 lire perché, sai, è un po’ chiattona, bassina, bruttina. Un po’ così, che quando la vedi dici: oh dai! viene quella, nonono aspetto. E invece… 
– Eh?
– Mi ha fatto una piega! Ci ha messo una cura. E mi ha pure spazzolato. 
– Che culo. Mica è facile. È un terno al lotto.
– Eh si. E manco 5 lire le avrei dato. Manco 5.
– All’Auchan invece che schifo. Di fretta, la confusione. E mi hanno fatto i boccoletti… che gli avevo chiesto un’altra cosa. Ma chi glielo ha detto?!
– Embhe. Sono francesi!
– Ahahagahaha (gruppo ilare)
– Portati un vocabolario la prossima volta.
– Hihihihihihi (la simpatia cola ormai sui sedili)
– Invece io, la piega, al centro commerciale, 16 euro. 
– Dove vai?
– Lì vicino al mulino
– Ah, ho capito…
– Se vuoi comunque ti presento la mia.
– Chi? Chiattona?
– Ahahahaaha si, lei
– Però è brava.
– Eh si. Molto.  Devo dire. Molto.
Prossima fermata…Rho

Storie di bulli

– Ma se voi passate dalla cucina vi do io da mangiare in più (bullo 1).
– Chi è che hai invitato? (bullo 2)
– Germana. Alessia. Maura. Viky. Laura…(riflessione e labbro in caduta. Bavoso. Sitibondo )..si chiama laura?
– Si. Laura.
– E di femmine, basta cosi? (bullo 3)
– Si, poi ho in classe una che sembra un maschio.
– Chi ? 
– Quella bassa. Coi capelli di  benza bruciata.
– La marika! (bullo 3)
– La marika…si. (bullo 1) Quella che è fidanzata con il tizio che ha la faccia da droga e che ha la sorella in terza.
– Aspetta, sono due quelle che sono in terza. (bullo 2 ruminante) La giulia e la…la…
– Togli il cappello. Oh! Togli sta miseria di cappello. (bullo 1)
– No. C’ho la cenere (bullo 2)
– Eh? Perché? togli il cappello e c’hai la cenere? (bullo 1)
– Oh, bello di mamma, vedi di non sporcargli le scarpe che quella è forfora! (bullo 3 mano tesa)
– Oh va bhe…(bullo 2)
– Cazzo, (bullo 3) ieri sono caduto dall’altalena tre volte. Che pure tu…
– Io? Ma che dici? (bullo 2 entrato in modalità mobbing)
– Ma si. Ti ha fatto cadere Amin 
– Ma che stai dicendo? (bullo 2)
– Ma dai che mi ricordo troppo bene te lo devi troppo ricordare! (bullo 3)
– Ma va me lo sarei ricordato… (bullo2)
– Mavvaffanculo che sei caduto!(bullo 3)
– Oh oh.. Vanzago…
– Esci. esci. (Porte in chiusura. Faccia da beota)
– Minchia, il cappello!

S4

– …che ho visto che Vendono l’s4 a 350 euro.
– Si ma io non mi fido.
– Vabbhe magari sono privati che lo vendono.
– E la garanzia?
– C’è gente furba. Lo danno quando c’è ancora la garanzia quasi in scadenza e gli allocchi cadono. Io ho fatto la prova con il mio; sai quanti mi hanno scritto? Una caterba! Che volevo provare a prendere l’s4 o il mini.
– Il mini non mi piace
– Si è una presa per il culo.
– Proprio.
– Adesso mi sono scaricato  l’aggiornamento. Ci sono le calorie, lo sport, i battiti. Quelle cose lì…
Si informano i gentili viaggiatori che questo treno viaggia con un ritardo di …. 10 minuti. Trenord si scusa per il disagio.
– Ma non può fare un’ora di ritardo così non entro?
– Così ti chiamano a casa.
– See..
– Comunque io questo l’ho preso nuovo. Vabbhe, l’s4….  L’s3 lo trovi anche a 200 euro.
– Anche on line da Saturn
– Eh si. Ma tu vai da Saturn?
– Qualche volta.
– Ah.
– Però, giro.
-Quando ho 18 anni mi faccio l’s5 che c’è già il progetto in giro.
– L’ho visto.
– Tanto apro un conto. 20 euro al mese. Vuoi che non mi faccia 20 euro al mese?
– Ahivoglia!

Babele

 Trrrriii triiiiiii triiiiiii
– Eh… Mmmmmhhh… Ah… (uomo al telefono con mento lungo. Pelo rado.)
– Lunedì mattina quando sono entrata c’era già il mio collega che mi aspettava. E se pensi che viene da Cerro Maggiore (donna con capello chatouche tipo Aldo Coppola) fa tutti quei chilometri ogni giorno e non sgarra di un minuto.
– All’università non mi rompe le palle nessuno. Quando Jerry entra con la macchinetta e la sciarpa emicaglidicononulla. Faccio che se entro con i guanti neanche mi cagano (un certo Marco che ride come avesse una emiparesi.)
– Mmmmhh… Seee…  (pelo rado)
Stazione di Rho. Questo treno è diretto a… Treviglio
– Guarda. Guarda la gente che manco si può sedere (sottovoce – chatouche.)
– Se questi storditi continuano a ridurre i vagoni (sottovoce – amica chatouche), com’è che pensano che possiamo stare tutti seduti? Mi domando se almeno fanno una statistica. Non so, un conteggio…una cosa…
– Vabbbhe raga’ da pisciarsi addosso. Abbiamo fatto anche la lezione di canto che il prof ha fatto pure finta di non sentire. Minchia che fulminato (Marco risata emiparesi).
– Mamma.. (lagnoso). Mamma.. (lagnoso). Ma quando arriviamo? (voce di bimbo in fondo al corridoio)
– Adesso! (voce di mamma in fondo al corridoio che sbuffa sul vetro).
– Mmmmmhhh… Seee…. (pelo rado)
– Tu dove stai?  Ci sentiamoci a pausa pranzo (uno al telefono a destra, con un Nokia del 1968 tipo tenente Colombo. Gli mancano impermeabile e sigaro. )
– Ecchejerry gli diceva di no e lui faceva si con la testa. Porca che ridereeravamotuttipiegati. Raga il prof è impazzito (adepti sbellicati attorno a Marco emiparesi).
– Mmmmmhh… (pelo rado)
– No che non me la fanno  passare. Mi hanno detto che ci vuole la scia o la cia o la dia o la chenonhocapito. Se tu chiami in Agenzia delle Entrate non lo sanno neanche loro (capello chatouche). E se chiami il comune ti dice di chiamare l’Agenzia delle Entrate. Ma questi qui quando fanno le leggi manco ci pensano. Le fanno, ecchisenefrega se uno ha studiato o non ha studiato legge. Abbiamo dei politici veramente… guarda… veramente…
– E si. Sisisi (Nokia 1968). Eccerto che vengo lì. Mica mi ci voglio perdere la pizza.  Che mi pare di fronte c’è la Feltrinelli.
– £€$&^&;  pesto  £÷%#@$  tibaldi &/$#^@!  quando @#$/^&!/ (voce di donna a tratti al telefono Nokia 1968)
– Mmmmmmh…. aahh…. (pelo rado, che all’improvviso esplode) Comme t’addire che nun facciu u’ssignore!
(Silenzio tutti)
– Stomilanomilanomilano. Miiii ma chaggiā fa a stu payse che tuttifetenti stanno innanzi.Purelammulta m’hanno misso. Checivolevomettereundito nell’occhio. Indo culo su’meritava.
Prossima fermata. Milano villapizzone.
– Mmmm…. see… vhe… na… ma… ti chiamo a’ siira.
(Silenzio qualche attimo.)
– Mamma… (lagnoso), hai detto che arrivavamo.
– Si. Si. Adesso arriviamo (sbuffa). 
– Ma quando?
– Ufff…. adesso!

Curriculum

Lei, testa colorata:
– Ma se io te le mando tu riesci a farla?
Lui, occhialini e cuffia ad un orecchio:
– Si. Però come vuoi farla?
– Grande. Enorme.
– Ma per il curriculum non serve.  Basta una fototessera.
– Si ma che c’entra  Voglio che si ricordano la faccia. Una foto figa.
– Ah. Ma tanto hai già i capelli rossi. Uno si ricorda.
– Che c’entra. Sono tinti. Dove te la mando? Continua a leggere

Tunz tunz

Tunz tunz tunz tunz
– Ma sentilo… che maleducato.
Tunz tunz tunz tunz
– Si può tenere la musica ad un volume cosi alto?
– Ma è un cretino. Non lo vedi?
– Va va va va va come dorme!
Tunz tunz tunz tunz
– Che poi, con un musica cosi come cazzo fai?
– Guarda non lo so. Io non riesco manco a leggere.
Peperepere tunz tunz tunz…
– Ma porca… adesso glielo dico. Continua a leggere

Scende?

– Ma quelli di San Vittore Olona dove vanno a prendere adesso il treno?
L’altro annuisce mentre è in piedi con la sua borsa in pelle marrone ed un sorriso stampato in faccia che ha le fattezze di una paresi.
Gli occhi azzurri si rimescolano sotto le palpebre appesantite.
– Davèro – dice in un accento veneto che taglia le doppie consonanti.
– Misteri della fede. Adesso tolgono pure il servizio a Molino Dorino e lo mettono a piazza Firenze – insiste la donna seduta, sballottata dall’incedere costante del treno sui binari.
Tt tt  tt tt  tt tt Tt tt …
Il compare di viaggio, comodo sul sedile di lato, osserva in continuazione l’orologio e fa si con la testa anche lui.
Certo. Come no.
– Ieri  un’amica mi ha detto che c’era un incidente sulla tangenziale ovest e c’erano 4000 auto ferme nel parcheggio della fiera.
Quattro dita in alto.
Quattromila! Qua  ttro  mi  la!
– Ma va…
– Eh si…
Tt tt  tt tt  tt tt
– Ci pensi a trovarsi lì un venerdì al rientro dal lavoro? (lei)
Ma lui pare abbia una stecca di cerume nelle orecchie e si gira a parlare con quattromila.
– Ehi, ma pensa ale fière – sempre l’accento euganeo che elimina le doppie – Quela dell’artigianato fa uno sfacelo. Vedi a dicembre. Vedi il parchegio.
– Eh ma qui accorciano i treni. Io ho mandato l’ennesima mail di lamentela. (lei)
– Eh si – (Borsa in piedi) – Ma basta vedere in Vila Pizone!  C’è un casino. Sale il mondo. Gli universitari. Altro che mail. Un casino.
Fermata di Rho.
– Scusi mi fa passare?
Questo treno è diretto a… Treviglio
– Scusi. Scusi. Mi fa passare?
– E lo so. Scusi ma qui…
Spinge.
– Senta.  Ma lei scende alla prossima?
– No.
Spinge.
– Passi. Passi.
Tt tt  tt tt  tt tt…
Riprende il brusio.
– Ma da te hanno cambiato gestori dei clienti?
Tt tt  tt tt  tt tt
– Si. c’e stata un po di confusione perché queli chiamavano ma nesuno rispondea.
Sghignazza in veneto (il veneto) mentre un uomo enorme con il cappuccio in testa e gli occhi stretti che  guardano ancora gli abissi notturni si alza.
Deve scendere.
Mastica qualcosa.
Chiede spazio alla donna assisa.
– Si si. Mi sposto.
– Dovrei scendere.
– Si. Si. Ho capito.
– E che sono arrivato… scenderei adesso…
La donna si mette di lato. Impreca in silenzio. Sbuffa. Sbatte i piedi isterica. Ha la mascella rigida.
– Grazie.
– Prego – con i denti stretti – Si figuri, ci mancherebbe.
Questo treno è diretto a Treviglio
Tt tt  tt tt  tt tt Tt tt  tt tt  tt tt
– Ma hai visto?
– Eh?
– Non riuscivo a star seduta con quello li!
– Ah…

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Guarda quella

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Tlic. Tlic. Til. Tlic.
– Hai visto quella?
– Eh?
– Quella
Tlic. Tlic. Tlic.
Il ragazzo con la giacca a quadri che si è appena accomodato, si gira.
La osserva schifato.
La donna grassa ha lo sguardo ottuso, il labbro leporino e tremante.
Occupa tutto il sedile come fosse un principe regnante.
Tra le mani una sorta di tenaglia.
Tlic. Tlic. Tlic.
– Ma dai – risponde a bassa voce il tizio togliendo la giacca e sistemandosi la cravatta gialla. – Si sta tagliando le unghie. Continua a leggere

Non é l’uscita

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Lunedì 04 novembre  Porta vittoria
Gli addetti alla pulizia sono comodamente seduti di fronte ai tornelli.
Uno ride, l’altro racconta e dondola i piedi.
Osservano la gente passare.
Il controllore, si guarda le scarpe ripetutamente.
– Scusi, l’uscita?
Due signore con borse in mano e  spalla e l’accento foggiano stanno li davanti al gruppo nullafacente in attesa della informazione.
– Eh?
– L’uscita. Dove sta? Che dobbiamo…
– Ah… e deve uscire – dice quello con la pancia prominente all’altro smilzo che si guarda le scarpe.

– Deve uscire? E dove deve andare?
Si guardano negli occhi
– E che ne so?
– Di là – e piedi penzoloni indica, con dito e mano tesa, un punto imprecisato della stazione.
Le due signore con le borse e l’accento della puglia del nord seguono con gli occhi l’indice. Girano la testa verso il corridoio che si divide in due e stanno ferme mentre la voce  metallica di un annuncio giunge dall’alto.
Il treno suburbano per Varese è in arrivo sul secondo binario. 
Le signore, al centro del corridoio, guardano il controllore, l’uomo delle pulizie.
Loro guardano le signore.
Una folata di vento passa attraverso i tornelli.
Smuove il sacco nero della spazzatura.
Nell’aria pare passi un flauto di Morricone.
– Di là. Di là – con tutte e due le mani – di là.
– Le foggiane si avviano seguendo le piastrelle chiare e superando il carrello con le scope.
– Na… ma l’altra volt siamo passat’ da qui?
– E che ne so io? Na scala era.
– Non si capisc nudd.
– E che è grand. E mo’?
Girano la testa a sinistra.
A destra.
Scala a sinistra.
Scala a destra.
Viale Mugello a destra.
Viale Mugello a sinistra.
– E mo’?-
Prossimo treno s5 per Varese previsto tra 10 minuti.
Il controllore va alla macchinetta del caffè. Mette la moneta. Aspetta mentre quella raschia. Nel frattempo osserva le scarpe. L’uomo con la pancia ride.
Gli avranno raccontato una barzelletta.
Magari quella del francese, tedesco ed italiano.
No. Forse no.
Gli avranno detto che deve lavorare.
– E mo’…? – dice quella con la borsa verde.
L’altra sbuffa contrariata.
Si avvia.
Una folata di vento le scompiglia i capelli .
– Mo’ saliamo. Viale Mugggello…
– Sto cazz d Milano.

Questo treno va a Treviglio?

va a treviglio

04 Novembre 2013
Milano Repubblica
ore 07.27 Suburbano

– Io non sa… io non sabe…

Scuote la testa la donna sudamericana.
– Si, ma è solo per sapere se questo va a Treviglio.
– Io no sa… non sabe..
Lui è spazientito. Cerca altri a cui chiedere. Vede una signora in piedi che parla con un’altra seduta.
– …ed allora io gli ho detto ma possibile che non lo sapete? Che io è da stamattina che chiedo e per un passaggio a livello si interrompe la linea e che è? Che modo è?
– Ma veramente è vergognoso che… – risponde l’altra.
– Si! Vergognoso e lui dovevi vederlo. Mi guardava così con quel suo cappello da deficiente. Continua a leggere